Qui va tutto veloce, e nulla si muove. Si corre e il tempo si svuota. Un tempo pieno d’acciaio e di vizi inconfessabili, in cui soffochi, ma resti vivo. Vago in questo tempo maledetto dal denaro, dall’egoismo, dall’indifferenza. Vedo una terra di nessuno disseminata di egoismi, che ha deciso di chiudere gli occhi, di imbellettare l’indecenza. Una terra arida, dove ci sono poche radici. Dove le mura sono spesse, e la gente molto leggera.
Lo so benissimo, in questo mondo bisogna arrangiarsi, prendere o lasciare. Le capacità sono poco importanti. Il rango sociale è qualità più che sufficiente, e incontestabile. Ma vieni verso l’albero e ascolta il suo sogno: sai cos’è che rende infelici?
La precarietà, le radici tagliate. Nel caso dell’albero, tu lo strappi dalla terra per piantarlo altrove. Ma se non presti particolare attenzioni alle sue radici, la tua idea non funziona. L’albero perde la sua linfa, si dissecca, soffre silenziosamente, fino a diventare muto come la morte. Le generazioni che hanno derubato del lavoro o dei loro sogni, la gente cui han promesso la prosperità che non vede realizzato nulla in concreto, si trova nella stessa condizione dell’albero.
Il mio rifiuto a tutto questo è assoluto. Spargi la voce. Ti lascio alla tua febbre e alla tua impazienza. Indignato? Sono al di là da tutto questo. In pax, versus libertà…