Fissai la decisione, i dubbi che occupavano il centro della scena si spostarono lateralmente. Salutai la musica con accento sciolto e garbato. Impugnai con decisione un articolo con entrambe le mani e cominciai la lenta ascesa lungo il filo del discorso. Rigo dopo rigo, spazio dopo spazio. Mi sentivo lassù, accanto all’ideale, poco a poco quelle altezze si facevano confortevoli, spaziose, traboccanti di emozione. Finché giunsi ad un crocevia piuttosto lontano dalla partenza. Era quasi sopra di noi, tanto che i miei pensieri persero contatto con ciò che li circondava. Mi piegai all’indietro per non sottrarmi alla gioia. Vedevo solo utopia, la nostra isola, e il mare. Nient’altro. La purezza di quell’immagine si impresse nella mia mente e ancora oggi è qui, nella sua esilarante immediatezza totalmente presente. Ovvero quella curva della domanda, che non si nasconde alla responsabilità, ma la guarda dritta in faccia. Fino al limite del possibile intarsio. Come umile rumore lontano, si fa l’amore sentire…
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