La cosa più interessante non è tanto la parola in sé, ma cosa crea questa parola. E’ la maniera differente in cui si associano i concetti. La cultura è mettere a disposizione il proprio sapere, le proprie competenze, le proprie relazioni, e farne un universo. Riscoprire la gioia di ritrovarsi insieme senza sapere nemmeno cosa fare. La cultura per me, dovrebbe fare così. Uscire dalla logica del pacchetto, per cui devi sapere cosa vedere e cosa comprare e scegliere in base alla pubblicità che vedi o alle recensioni che leggi. Bisognerebbe tornare a un pubblico che si interessa alla cultura indipendentemente da quello che c’è. Altrimenti uno che fa un film, una mostra, o scrive un libro per la prima volta come può sperare di essere conosciuto? Come può un’istituzione non capire questo?…
Da sempre mi riconosco in questa diversità di approccio alla vita. La possibilità che non si debba per forza vendere o comprare per essere riconoscibili. Dove ci si possa parlare tra persone. Semplicemente. Cultura secondo me, è questo. Vuol dire discutere, sognare, incontrare gente che ti racconta il suo mondo. Ho rifiutato il mio lavoro e intrapreso questa avventura non per chissà quale coscienza politica, ma perché potevo essere compartecipe di questi spazi. Perché posso star qui senza essere un cliente. Il piacere che mi dà questa condivisione è il piacere dell’umanità che abbiamo perduto, quello che il mercato ci ha tolto, perché non ci fa più relazionare tra essere umani ma tra clienti e venditori. Una cultura del sospetto, in cui tu hai qualcosa da proteggere e un altro qualcosa da rubarti…