Cos’è eritArt?

Talvolta non sono altro che uno sguardo innocente. Perduta nei sotterranei del disordine e dell’ingiustizia, il luogo preferito per una domanda. Vado in giro per un cielo limpido e buio, con lo scroscio dei pensieri. Sotto la stretta dell’assenza mi raccolgo dove la vita pesa come una tonnellata di silenzio. Sintetizzo che la sicurezza è sempre militare e che la salute è in buona parte fatta di denaro…

Allora comincio a dubitare che qualcuno mi ascolti. Credo che la folla sia insolente. Che urli, e racconti delle storie futili. Con qualche comodità, e molto egoismo. Che sia composta da menti diligenti che amano l’intrattenimento e la spensieratezza. E pensano al lavoro. Già, il lavoro. Quel lavoro sporco che per alcuni è un affare, per altri una questione di vita o di morte. Gli organi di informazione le chiamano “morti bianche”, dove l’aggettivo allude all’assenza di una mano direttamente responsabile dell’incidente…

Altre volte cammino lungo le onde. Ho imparato che un sogno può rimanere molto tempo senza cibo. Cado nella rete dello scambio per interrompere il mercato, mentre la notte si sposta per far nascere una bambina. Allora dimentico la fame. Voglio aprire un sentiero collettivo attraverso un impegno quotidiano. I pensieri si mescolano all’aria pulita, ai papaveri, come alla tenerezza. Mi arrampico su un albero e parto con l’ultimo raggio di sole. Vedo un cumulo di partecipazione avanzare con passo lento e sicuro. Ma altro non è che un miraggio. Un’altra frase sfuggita alla mia follia. E resto sola, sotto una volta colma d’imprevisto a voler diffondere il sogno e la tempesta. Quando ti confiscano la vita, non puoi aspettare. Piccola nei tuoi progetti, zero nelle tue ambizioni. La bambina è troppo dolce per reagire, merita la tua benedizione e, forse, un pezzetto del tuo tempo, per costruirle il paradiso…

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