The Inhuman Show

Professare la parola non ci protegge. La parola non basta a se stessa. Ho sempre pensato che comunicare volesse dire riflettere collettivamente, per guardarci attorno e andare avanti insieme…

Non credo nel commercio gratuito di opinioni private, ridotte in pillole e lanciate in rete. Scrivere, per me, rappresenta una scelta tra una serena rassegnazione da un lato, e una rivolta contro la rassegnazione dall’altro…

Mi sento vulnerabile. Disorientato. Anche il mio linguaggio diventa un bene precario e non una crescita in rapporto con gli altri. Avverto una crisi evidente. Sento una nuova solitudine…

Per chi legge sembra che la scia di informazioni virtuali che io lasci conti più della mia vita reale. Io e te in un mare aperto di incomunicabilità. In ordine sparso. Sotto l’onda continua di un cortocircuito evidente. Costretti a vivere insieme senza più riconoscerne le ragioni…

A te non piace questo mondo. Come a me non piace questo mondo. Tu ti ribelli. Come io mi ribello. Ma non ci accorgiamo che anche noi non interessiamo più al mondo, se non come consumatori, numeri senza identità e senza storia…

Non ci accorgiamo, cioè, che quando l’interesse è soltanto individuale, privato, incapace di combinarsi in un qualsiasi progetto con gli altri diventa irrilevante. Lancia solo un grido, ma non può dar vita a nulla…

Questo “sistema sociale” afferma che noi ci siamo, ma dice anche che siamo innocui, perché non riusciamo più a sommarci tra noi per rinascere insieme…

Ho appena visto un’ingiustizia e non le ho fatto neanche una foto col cellulare…

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