Democrazia?

Non ricordo. So che era un giorno, non un fantasma o un’immagine. Un giorno vivo, che conosce la pazienza e il furore. Un giorno imprevedibile, che scendeva in strada con le sue braccia nude ed i suoi alberi sospesi al cielo. Forse sognavo. C’era qualcosa da fare, qualcosa che non sapevo dire. Eravamo tutti insieme tante cose. Eravamo tante cose, tutti insieme…

Ora, tutto procede secondo una certa logica di principi, semplici, efficaci, aritmetici. Tutto deve essere in ordine, puro e sottomesso. Disuguaglianze, guerre, ingiustizie, sono condizioni irrinunciabili di regolare e consueta normalità. La macchina è ben oliata ed ha una sua logica. I Sognatori non hanno molta scelta, o si integrano, o si fanno stritolare dalla macchina. In realtà, resta loro l’imbarazzo: giocare continuamente con le fila del tragico cercando di non lasciarsi prendere in trappola…

Penso all’informazione che diffonde fata-cultura: manichini di cera, con sorrisi fissi, posati sullo schermo come una coltre; parlano. Nei loro salotti intrisi di gioia mondana, circondati da sguardi riverenti; sorridono. Passano da un argomento a un altro, da una parola a un’altra, come un attore che trucca le sue maschere…

 

Uno stato di forte perturbazione arroccato su un pensiero unico controllava tutta la Valle dello Stivale fino giù a Parlamento. Si appigliava alla grandezza passata per distogliersi sdegnosamente dalla piccolezza presente…

Una trasfigurazione della realtà, delle visioni, dei commenti, delle analisi, faceva della crisi non l’oggetto immediato del presente, ma il presente stesso come essenza emergenziale…

Consisteva in una serie di facce che immettevano in un mondo dove tutte le parole e le figure diventassero replicate, trasformate, sospese. Un semplice meccanismo per fare stare insieme queste facce in combinazioni sempre diverse…

Mentre le facce parlavano, Democrazia doveva servire da conferma alle cose. Innalzava il suo sguardo per guardare dall’alto in basso il mondo sottostante, come divinità giudicante che distingueva il buono dal cattivo, il bello dal brutto…

Le sue parole finivano ancorate non ad azioni, ma a fantasie: il voler fare era già l’ammissione che non si poteva fare nulla. Ogni promessa non arrivava a destinazione. Ogni ricchezza ridistribuita da nessuna parte…

Attorno a questo, una comunicazione assertiva di pappagalli tenuti in cattività riproduceva i suoni emessi dai loro padroni: siamo costretti ad accettare qualsiasi sopruso pur di far fronte alle incombenze di tutti i giorni…

L’esattezza del problema accompagna l’inesattezza della sua risoluzione. È l’allucinante fissità di questa luce livida la crisi, nient’altro…

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *